RENDICONTAZIONE DI SOSTENIBILITÀ: CSRD, PACCHETTO OMNIBUS E RICHIESTE DEL MERCATO

RENDICONTAZIONE DI SOSTENIBILITÀ: CSRD, PACCHETTO OMNIBUS E RICHIESTE DEL MERCATO


Stop the clock: approvazione del posticipo degli obblighi di rendicontazione

Mercoledì 16 aprile è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Direttiva UE 2025/794, che posticipa all’anno fiscale 2027 le prime date di applicazione della CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive) e al 2028 della CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive). Gli stati membri, inclusa l’Italia, che aveva emanato il d.lgs. 125/2024 per declinare la CSRD a livello nazionale, dovranno quindi recepire la direttiva che ne posticipa l’applicazione entro il 31 dicembre 2025.

La CSRD, entrata in vigore il 05/01/2023, prevede l’obbligo per circa 42.500 società in UE, poco meno di 4.000 in Italia, di pubblicare una Rendicontazione di Sostenibilità integrata nella Relazione sulla Gestione del bilancio finanziario, basata su standard uniformi, taggata digitalmente e soggetta ad assurance da parte di un ente terzo accreditato.

La recente direttiva, denominata “Stop the clock”, è il primo passo dei legislatori europei verso una profonda revisione degli obblighi di rendicontazione: nella lista delle prossime modifiche ricadono infatti sia la modifica del perimetro delle aziende soggette (la proposta è di limitare l’obbligo alle aziende con più di 1000 dipendenti, escludendo così dall’obbligo circa l’80% delle aziende precedentemente incluse), sia la revisione degli standard applicabili (gli European Sustainability Reporting Standard, pubblicati ad Agosto 2023), eliminando soprattutto le richieste legate alle informazioni qualitative.

Cosa cambia per le aziende, soggette e non (più) soggette

Se da un lato le aziende che restano soggette anche considerando la proposta di modifica del perimetro possono contare su due anni in più per prepararsi alla rendicontazione, non solo in termini di gestione e controllo dei dati, ma anche implementando le strategie e le azioni necessarie per mantenersi competitive nei confronti dei concorrenti anche rispetto agli obiettivi di sostenibilità, le aziende che non saranno più soggette si trovano sollevate in realtà solo formalmente e dal punto di vista normativo dall’obbligo di divulgare le informazioni ESG. Infatti, i primi fattori che vincoleranno le aziende (sia grandi che PMI) a rendicontare (ovvero a misurare, analizzare e comunicare) le proprie performance di sostenibilità sono il mercato, inteso come richieste da parte dei clienti e la finanza, intesa come richieste da parte di istituti di credito.

D’altra parte, è ormai innegabile che le performance economiche di un’azienda siano indissolubilmente legate a quelle ambientali e sociali, come evidenziato in un’analisi di BDO¹, svolta su un campione di 500 CFO negli U.S., da cui si evince che il 91% delle imprese che stanno integrando criteri ESG nelle proprie strategie prevedono un aumento dei ricavi nel 2025. Si tratta del riflesso di un cambiamento nell’approccio imprenditoriale, che riconosce alla sostenibilità un valore strategico volto a migliorare resilienza e competitività sul mercato, una leva cruciale per stimolare l’innovazione e incrementare le vendite e la presenza sui mercati globali.

Il valore della rendicontazione ESG

A prescindere dall’obbligo normativo, quindi, risulta fondamentale che tutte le aziende, anche quelle più scettiche, si interroghino sulla loro capacità di rispondere alle crescenti richieste degli stakeholder rispetto alle strategie ESG e alla loro rendicontazione. Richieste di dati ambientali (uno su tutti, il calcolo delle emissioni di CO2 attraverso una Carbon Footprint di Organizzazione o di Prodotto) e compilazione di questionari (Ecovadis, CDP, OpenEs, Synesgy, Cerved, per fare qualche esempio fra i più diffusi), sono istanze trasversali per la quasi totalità dei settori economici. Monitorare le proprie performance sociali ed essere in grado di analizzare i propri punti di forza e le aree di miglioramento consente di aumentare la collaborazione con le comunità in cui l’azienda opera e identificarsi come un’azienda per la quale i lavoratori desiderino lavorare.

Intraprendere un percorso che conduca alla pubblicazione di un bilancio di sostenibilità comporta, inoltre, la necessità di svolgere un’analisi degli impatti, dei rischi e delle opportunità correlati alle tematiche ESG, non solo per costruire la base della rendicontazione ma anche per focalizzarsi sugli impatti negativi e i rischi e identificare le eventuali strategie per mitigarli o affrontarli. Oltre ad essere un presupposto per la rendicontazione mantenuto anche nelle proposte di semplificazione contenute nel pacchetto Omnibus, l’analisi di doppia materialità, che include anche la valutazione dei rischi finanziari connessi alle tematiche di sostenibilità, è fondamentale in un contesto attraversato da eventi meteorologici estremi, compromissione di alcuni mercati a causa di situazioni geopolitiche complesse, attacchi informatici sempre più raffinati e caratterizzato da un numero crescente di lavoratori e consumatori attenti alla reputazione anche ambientale, etica e sociale delle aziende per le quali operano o dalle quali acquistano.

Nel frattempo, la direttiva “Greenwashing” 825/2024 (entrata in vigore a marzo 2024), e la futura direttiva Green Claim, attualmente in forma di proposta, impongono alle aziende di prestare attenzione ad affermazioni, claim e rendicontazioni non accurate, soprattutto in ambito ambientale, per evitare di scivolare nel rischio di sanzioni e danni di immagine legati all’uso della sostenibilità come leva commerciale senza che alla base ci sia un’effettiva analisi dei dati e azioni concrete a supporto delle dichiarazioni.

Sostenibilità, quindi, ben oltre l’obbligo normativo, come opportunità per garantire resilienza alle sfide del mercato e creare valore condiviso.

Il futuro della rendicontazione: quale approccio adottare?

Resta il dubbio chiave per tutte le aziende, sia quelle ipoteticamente escluse dal perimetro di rendicontazione, ma richiamate alla divulgazione delle informazioni ESG dalle aziende clienti e dagli istituti finanziari, sia quelle che resterebbero incluse nell’obbligo, su come muoversi per la raccolta dei dati e quali standard adottare per bilanciare le istanze a valle senza investire in costi e sforzi eccessivi rispetto alle richieste, dovendo operare in un ambito di incertezza legislativa e di temporaneo vuoto anche in termini di esempi e buone prassi da seguire. Gli ESRS sembrano superati ancora prima di essere adottati per la prima volta.

I VSME, gli standard volontari pubblicati a dicembre 2024 e pensati originariamente per le piccole e medie imprese risultano decisamente troppo semplificati e poco esaustivi, non solo per le imprese che resterebbero soggette all’obbligo, ma anche per quelle che ne sarebbero escluse, ad eccezione forse delle micro e piccole imprese. Il rischio infatti, adottando gli ESRS, è quello di intraprendere un percorso eccessivamente oneroso e ridondante rispetto alle richieste, sia del mercato, sia degli obblighi futuri. Al contrario, scegliere di adottare i VSME attualmente disponibili, rischierebbe di non soddisfare né le richieste del mercato né dei requisiti normativi per le imprese soggette.

Intraprendere un percorso di rendicontazione che muova da un’analisi di doppia materialità e mantenga un allineamento con i GRI, standard solidi, riconosciuti e accreditati, integrandoli eventualmente con alcuni fra i datapoints quantitativi previsti dagli ESRS, risulta, a nostro avviso, la scelta più lungimirante per la rendicontazione riferita all’anno fiscale 2025, nell’attesa di futuri sviluppi.

¹ https://www.bdo.com/insights/sustainability-and-esg/2025-bdo-sustainability-cfo-outlook-survey#highlights

 

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