18 Dic Cambiamenti climatici, il difficile abbandono del carbone
Settimana scorsa si è svolto a Katowice in Polonia la COP24, la conferenza che raccolto 196 Paesi che si sono confrontati sui cambiamenti climatici. L’accordo è stato raggiunto sul cosiddetto “Libro delle regole” (rulebook) che consentirà all’accordo di Parigi del 2015 di diventare esecutivo nel 2020. Tale conclusione è stata letta tuttavia come un compromesso in quanto consente sଠdi continuare sul tracciato indicato da Parigi, ma senza adottare quegli ulteriori passi ben più consistenti e significativi per ridurre le emissioni di CO2 come richiesto dalla comunità scientifica.
In questo contesto richiamiamo l’attenzione sul carbone, che resta la principale fonte energetica più utilizzata al mondo per produrre elettricità e nel 2017 produzione e consumo sono ritornati ad aumentare dopo due anni di declino.
Secondo le previsioni dell’ONU, per centrare l’obiettivo al 2050 di contenere il riscaldamento globale entro il limite di +1,5°, le rinnovabili dovrebbero fornire la maggior parte di elettricità e il carbone scendere dall’attuale soglia del 30% al 2%.
Se l’Europa si sta muovendo per riconvertire le proprie centrali a carbone, segnali in controtendenza giungono dall’Asia dove la Cina, che consuma circa la metà del carbone mondiale, continua la costruzione di nuove centrali.
La redditività di tali centrali è stata però messa in discussione da un recente studio di Carbon Tracker che ha coinvolto ben 6.685 centrali. Ebbene, già il 35% delle centrali potrebbe essere sostituita in modo economicamente conveniente da impianti a fonte rinnovabile, percentuale che raggiungerebbe ben il 96% entro il 2030.
Una recente inchiesta del Corriere della Sera ha però evidenziato la difficoltà di abbandonare il carbone: “Perchà© ci sono milioni di tonnellate di carbone sotto terra [e] potenti compagnie, sostenute da governi potenti, spesso sotto forma di sussidi statali, si affrettano ad espandere i loro mercati prima che sia troppo tardi”.